Lettera a Brunetta

 

11 giugno 1991: è una data di per sé senza particolari significati che ci riporta lontano nel tempo (17 anni fa!) da cui ci separano anni luce in termini di progreso tecnologico, evoluzione sociale, economica e politica sia in Italia che nel mondo.

Quella data, tuttavia, mi ricorda il giorno in cui ho avuto l’occasione d’incontrarLa nel corso di un convegno che io stesso avevo organizzato per conto della Unione Italiana del Lavoro in qualità di responsabile nazionale della dirigenza pubblica.

Il titolo di quel convegno era “Da Burocrate a Manager” e il tema specifico della giornata era “Rapporto di lavoro e responsabilità dei dirigenti pubblici”. Tra gli interventi previsti, oltre a Lei, c’era Remo Gaspari che era l’allora Ministro della Funzione Pubblica e Sabino Cassese all’epoca responsabile di un progetto CNR sulla pubblica amministrazione.

Non so se queste poche righe Le hanno permesso di ricordare l’evento ed il contesto in cui si svolgeva il Convegno, contesto di grande attenzione verso la pubblica amministrazione e la sua dirigenza in pieno governo di centro sinistra (Andreotti/Amato) che avrebbe approvato il Decreto Legislativo 29 del 3 febbraio 1993 a suo tempo identificata e “contrabbandata” come legge di riforma della dirigenza pubblica.

La sua nomina a Ministro della Pubblica Amministrazionee l’Innovazione mi indotto a rileggere le trascrizioni di quel convegno ed in particolare il Suo intervento che ha avuto un taglio decisamente fuori dal coro comprese alcune proposte, riguardo alla pubblica amministrazione e alla dirigenza pubblica, che sicuramente possono considerarsi in linea con quanto da Lei rappresentato in questo periodo iniziale della Sua avventura governativa.

Un passaggio mi sembra particolarmente interessante, allora come oggi, di quanto da Lei detto:

“…..che fare quindi? Dicevo prima delegificare e non inserirsi ancora una volta nella vecchia strada del cambiare un sistema di leggi o di normative con altre leggi e normative. Non abbiamo le risorse (le risorse culturali, le risorse fisiche, le risorse del capitale umano) per avere una garanzia che una nuova norma, un nuovo sistema regolativo possa essere efficiente. Chi ce la dà? Nessuno!

Vale la pena di perdere uno, due, tre anni di dibattiti? Vale la pena di essere presi in giro con questi giochi?

Farò un esercizio, se mi consentite, insieme a voi. Facciamo finta che non ci sia alcuna norma in discussione, facciamo finta di avere le regole date. Come cambiare senza modificare le regole? Perché o eliminiamo totalmente le regole (questa è una opzione, quella referendaria) oppure manteniamo le regole. Io sono del tutto convinto che un miglioramento della qualità, di efficienza del sistema potrebbe avvenire tranquillamente con tutto il sistema di regole che è già vigente…..”

Ministro Brunetta, penso che a distanza di 17 anni quanto detto sia ancora crudelmente, tristemente, realmente vero anche se nel frattempo si sono succeduti governi di tutti i colori politici che hanno, ciascuno a modo suo, legiferato su tale materia e, cosa veramente meschina, addossato gran parte delle colpe dei mali italiani ad una fantomatica ed impalpabile “Pubblica Amministrazione” preda di fannulloni.

Come è possibile che da diversi decenni quasi tutti coloro che occupano posizioni di governo appena insediati sentono l’obbligo, quasi morale, di addossare parte delle colpe della disastrosa situazione nazionale ai dipendenti pubblici? Possiamo accettare, senza condividere, che tali critiche vengano dalla parte dei datori di lavoro e dalle organizzazioni dei cittadini e dei lavoratori ma che provengano proprio da coloro che sono i diretti gestori nonché responsabili del funzionamento della Pubblica Amministrazione appare veramente incredibile, nonché tipicamente italiano!

Qualcuno si è mai chiesto quale effetto demotivante e frustrante produce questa continua critica nei confronti dei dipendenti pubblici messi all’angolo dalla opinione pubblica mediante tutti gli strumenti mediatici disponibili; quale conseguenze hanno sull’efficienza della pubblica amministrazione simili campagne denigratorie nei confronti di circa 3.5 milioni di concittadini che, considerate le famiglie, rappresentano quasi il 14% della popolazione e che vengono considerati i “paria” dell’economia italiana?

E’ dal 1973 che lavoro nella Pubblica Amministrazione, sono figlio di dipendenti pubblici che già dovevano affrontare ai loro tempi questi pregiudizi, ho percorso la mia carriera esclusivamente all’interno della Pubblica Amministrazione passando per la Scuola Superiore di Caserta (Corso- Concorso dirigenziale) e operando nell’ambito di diversi enti pubblici. Mi considero un “Civil Servant”.

Io, come molti altri pubblici dipendenti, sopportiamo da sempre, a volte con rassegnazione, tutto ciò che si dice di noi e ci chiediamo continuamente: finirà mai questa “persecuzione”? Perché di questo si tratta.

Sono nato e attualmente lavoro a Roma ma risiedo in una città del nord! A volte cerco di evitare di dire che lavoro nella pubblica amministrazione per non dover iniziare un lungo e defaticante dibattito sulle inefficienze, i fannulloni, i costi della Pubblica Amministrazione e così via….magari con chi non brilla in fatto di etica morale e di senso civico.

Visti i risultati che negli ultimi decenni hanno conseguito su questo argomento i ministri della Funzione Pubblica o, come attualmente denominato, della Pubblica Amministrazione e Innovazione che l’hanno preceduta viene da ritenere che evidentemente la strada percorsa non è stata la più idonea oppure che si è sbagliato l’obiettivo della riforma. Eppure i nomi dei precedenti ministri sono stati, in alcuni casi, di alto livello peraltro universalmente riconosciuto: tre per tutti Massimo Severo Giannini, Sabino Cassese e Franco Bassanini.

Per focalizzare ancora meglio il mio pensiero vorrei evidenziare un altro passaggio del suo intervento al convegno dell’11 giugno 2008:

 “….lo ripropongo, perché non si reagisce da un punto di vista sindacale, ma non solo sindacale, ai criteri, alle modalità, alla qualità e alla quantità delle nomine dei dirigenti generali effettuate dal Consiglio dei Ministri. Io ho proposto a suo tempo una ricerca, che è quella di prendere gli atti che sono pubblici della Presidenza del Consiglio dei Ministri, individuare tutti i dirigenti generali nominati, verificarne i curricula, pubblicare i curricula e operare di conseguenza. Ne nomineranno centinaia all’anno probabilmente, forse anche meno, bene si prendano gli ultimi cinque anni, nomi e cognomi, ministri e proponenti, curricula……. Partiamo dalla testa, il pesce puzza dalla testa, partiamo da lì. Io alcune esperienze le ho avute, non dico che tutti i dirigenti generali non fossero senza requisiti, io credo che il 90% fosse senza requisiti. La legge è chiara, anche se generica ma è chiara…”

Ministro Brunetta è ancora convinto, se non in tutto, almeno in parte di quanto affermato 17 anni fa? Sarebbe un grosso sollievo, non solo per me, se la risposta fosse affermativa.

Sarà ormai tempo, ritengo, di mettere fine a questa annosa discussione sull’efficienza della pubblica amministrazione e dei suoi dipendenti ma, se mi consente, sarà necessario anche cambiare l’approccio, proprio secondo quanto indicato da Lei 17 anni fa!

Sono un dirigente pubblico ma non esito a sostenere che le prime mosse da fare sono verso la classe dirigenziale, verso i metodi di selezione e di progressione nella carriera, verso la definizione di un concreto, obiettivo e reale sistema di valutazione delle professionalità e delle prestazioni.

D’accordo su quanto da Lei proposto circa la pubblicazione dei curricula dei dirigenti generali nominati nell’ultimo quinquennio, ma accompagnata dalle valutazioni che hanno giustificato tali incarichi: potremo avere una ulteriore, agghiacciante prova della creatività italica!

Ma a parte tale “esercizio” speculativo ritengo necessario, e spero che Lei condivida ancora tale impostazione, partire ..” dalla testa, il pesce puzza dalla testa, partiamo da lì.” avviando immediatamente una rivisitazione dei metodi di gestione delle carriere dei dirigenti di 1a e 2a fascia impostando, oseri dire “imponendo”, un sistema di valutazione che lasci ridotti spazi di valutazione soggettiva a chicchessia e privilegi professionalità, competenze e performances documentate oltre che degne di essere prese in considerazione.

Se, come a suo tempo auspicato, si vuole far transitare la dirigenza pubblica da uno status di “burocrate” ad una identità di tipo “manageriale” che sia, tra l’altro, capace di identificarsi e cautelarsi all’interno di una categoria professionale sarà utile approntare una serie di strumenti legislativi e culturali che delineino una figura di dirigente pubblico di stampo europeo geloso della propria autonomia e fiero della sua professionalità.

Ciò potrà permettere che tutta la dirigenza pubblica italiana si affranchi una volta per tutte da una sorta di necessità di “apparentamento” a gruppi di pressione e/o lobby che da sempre condizionano e determinano all’interno della pubblica amministrazione comportamenti, scelte e normative, processi produttivi, modelli e progressioni di carriera.

Ritengo che su tale prospettiva di lavoro gran parte della dirigenza pubblica italiana sarebbe al suo fianco.

Tale scenario metterebbe fine a quel triste e umiliante pellegrinaggio di parte della dirigenza pubblica verso le corti dei “punti di riferimento” del momento che, utilizzando il loro transitorio potere, ne determinano una sorta di sudditanza psicologica mediante promesse e richieste di “fidelizzazione” che mal si attagliano ad una funzione dirigenziale al servizio del paese.

Sarebbe anche un utile strumento per mettere in grado i dirigenti di garantire efficienza ed efficacia delle strutture pubbliche, invitando a partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica o, altrimenti, a lasciare il posto di lavoro ad altri, quei “fannulloni”, a Lei tanto cari ma che quasi sempre risultano “intoccabili” essendo espressioni, ed in quanto tali sotto tutela, di determinati gruppi di varia estrazione.

Qualche tempo fa l’AD di Fiat Sergio Marchionne, persona certamente da stimare e rispettare per ciò che sta realizzando, ha tenuto una Lectio Magistralis al Politecnico di Torino in occasione del conferimento della laurea Honoris Causa. Nel corso del suo intervento ha citato il contenuto di una lettera inviata ai membri del Comitato di Gestione di Fiat Group Automobiles per ringraziali del lavoro fatto nei due anni precedenti.

Uno dei passaggi che più mi ha colpito è quello che, indicando nella cultura di un gruppo la vera essenza della vita sia dell’azienda in cui opera che del gruppo stesso, cita un aspetto della cultura Zulù;

“… tra gli indigeni dell’africa subsahariana è diffuso lo spirito “ubuntu”. Questa parola fa parte di una frase più lunga, “umuntu ngumuntu nagabantu”, che tradotto letteralmente dallo Zulu vuol dire “una persona è una persona grazie agli altri”. Quando tu ti muovi in questo ambiente, la tua identità, quello che sei come persona, deriva dal fatto che sei visto e riconosciuto come una persona dagli altri. Questo si riflette nel modo in cui le persone si salutano. L’equivalente di “salve” è sawubona che letteralmente significa “ti vedo”. La risposta è sikhoma, “sono quì”.

Quello che è importante nello scambio di saluti è che non esisti fino a quando non sei riconosciuto….”

Se dovessimo adottare tale filosofia come potranno essere riconosciuti dal resto dei cittadini i dipendenti pubblici (14% della popolazione) se si continua a denigrarli con minacce di licenziamento o di altre azioni repressive senza avviare una opera di rifondazione della loro immagine, di riconoscimento reale della loro professionalità e della lealtà che tanti dipendenti pubblici dedicano al proprio lavoro con spirito di servizio verso lo stato e la cittadinanza?

Ritengo che una vera riforma della pubblica amministrazione non possa prescindere dal ridare al dipendente pubblico lo “spirito ubuntu” che Marchionne è riuscito a far rinascere tra i collaboratori di Fiat Automobili, con i risultati che tutti conosciamo.

Utopia? Non credo Signor Ministro. Serve solo una sana coerenza tra dichiarazioni e fatti concreti evitando di inquadrare nel mirino falsi e populisti obiettivi ben sapendo che il vero bersaglio da colpire, per il bene dello stato, è un altro.

Nel dichiarami a sua disposizione nel caso gradisse approfondire ulteriormente il mio pensiero, colgo l’occasione per augurarle un proficuo lavoro.

Con cordialità

Francesco Naviglio

Il mio curriculum

La fotografia della mia vita professionale

  • Titoli di studio e corsi di specializzazione e aggiornamento professionale
  •  Diploma di Laurea in Scienze Politiche conseguito presso l’Università LUISS di Roma nel 1974.
  •  Corso di laurea in Sociologia presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma (1975/78) con indirizzo antropologico.
  •  Corso su “Analisi organizzativa, misurazione del lavoro e incentivazione alla produttività” – Metodologia S.O.L.I. (ENASARCO 1988).
  •  Corso-concorso di formazione dirigenziale frequentato presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione di Caserta nell’anno Accademico 1991/92.   Il corso prevedeva, dopo un Master di sei mesi, uno stage di tre mesi presso Enti o società di primario interesse: lo scrivente ha svolto tale stage presso la Stet, Direzione Centrale della Formazione, ove ha analizzato i sistemi di selezione e formazione dei dirigenti del gruppo. Al termine del corso di formazione lo scrivente ha discusso la tesi “La selezione e formazione dei dirigenti – Pubblica Amministrazione e Stet: due sistemi a confronto” ed ha ricevuto il massimo dei voti.
  •  Corso di perfezionamento nelle tecniche S.O.L.I. (Lavoro Sistema Organizzativo Impiegatizio) inerente l’analisi, misurazione e ottimizzazione delle procedure amministrative e la determinazione dei carichi funzionali di lavoro (ENASARCO 1993).
  •  Corso su “Costi e rendimenti nelle Pubbliche Amministrazioni” in applicazione dell’art. 8 D.L. n° 143/93 tenutosi presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione di Roma (1993) e successivi Follow-up.
  •  Corso su “Metodologie e tecniche di conduzione dei progetti – Project Management” presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione – Roma aprile/maggio 1996
  •  Corso per Valutatore qualificato di Sistemi di Gestione della Qualità in accordo con la normativa UNI-EN-ISO 9000:2000 – (AICQ maggio 2002)
  •  Corso per Valutatore accreditato IRCA per i Sistemi di Gestione della Salute e Sicurezza (Norma OHSAS 18001:1999)marzo 2004
  •  Corso per Valutatore accreditato SAI per Sistemi di gestione della Responsabilità Sociale SA 8000 (AICQ CISE settembre 2006)

Albi Professionali

  •  Dal 1995 iscritto alla Associazione Italiana Formatori (A.I.F.)
  •  Accademico dell’A.E.R.E.C. – Accadenia Europea per le Relazioni Economiche e Culturali (1999) – Presidente della Delegazione Aerec di Brescia
  •  Socio dell’A.I.C.Q. (Associazione Italiana Cultura Qualità) – (2000)
  •  Socio AIFOS (Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro) – Febbraio 2006
  • Docente Formatore Senior per la Sicurezza – Iscritto al Registro CEPAS con il n° 2

Esperienze lavorative

  •  Assunto nel 1973 presso l’ENASARCO (Ente Nazionale Assistenza Agenti e Rappresentanti di Commercio) ove, dall’1.1.1991 ha ricoperto la qualifica di Dirigente.
  •  Responsabile del progetto d’informatizzazione del Servizio FIRR dell’Enasarco (1977/1980).
  •  Direttore del Servizio di Vigilanza Ispettiva per il Lazio dell’ENASARCO – (1985)
  •  Direttore dell’Ispettorato Centrale dell’ENASARCO con compiti in materia di Organizzazione, Controllo interno e rilevazione dei carichi di lavoro, Programmazione e realizzare dei progetti di formazione del personale dell’Enasarco – 1994/1996
  • Trasferito per mobilità inter-enti alla Direzione Generale dell’ Inail presso la Direzione Centrale Organizzazione e Risorse Umane in qualità di Direttore dell’Ufficio di Analisi e Gestione delle Componenti Organizzative – Responsabile dello sviluppo del “Progetto Phobos” finalizzato all’introduzione del Sistema Qualità dell’Inail secondo le norme ISO 9000 – (1996/1999 – Roma)
  •  Responsabile della Qualità dell’Inail – 1999
  •  Direttore Provinciale dell’Inail di Brescia –  2000/2005
  •  Direttore Vicario della Direzione Centrale Servizi Informativi e Telecomunicazioni della Direzione Generale dell’INAIL – (2005 – 2007 Roma)
  •  Direttore del Servizio Formazione dell’INAIL – (2007 – 2008 Roma)
  •  Segretario Generale di AiFOS, Associazione Nazionale Formatori per la Sicurezza sul Lavoro (gennaio 2009)

Attività di consulenza

  •  Responsabile organizzativo e relatore delle “Giornate di studio su dirigenza e pubblica amministrazione – DA BUROCRATE A MANAGER “ patrocinate dalla Unione Italiana del Lavoro e a cui hanno aderito, mediante loro relatori, la Confindustria, il Formez, la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, la Stet, La Scuola Centrale Tributaria, la S.D.A. Bocconi, il Dipartimento della Funzione Pubblica e il CNEL. (Roma 1990/91)
  •  Valutatore qualificato di Sistemi di Gestione in accordo con la normativa UNI-EN-ISO 9000:2000 (settembre 2002), OHSAS 18001:1999 (marzo 2004) e Social Accountability 8000 per conto di primaria società di certificazione – 2003/2006

Attività di docente

  •  Docente dei Corsi di Formazione Professionale organizzati dall’Ente per gli Agenti e Rappresentanti di Commercio (1987/88).
  •  Coordinatore e docente di Corsi di aggiornamento professionale per gli Ispettori di Vigilanza dell’Enasarco (1989).
  •  Direttore dei Corsi di Formazione Professionale organizzati dall’Ente per gli Agenti e Rappresentanti di Commercio (1993/96).
  •  Coordinatore e docente dei corsi di formazione su “La direzione per obiettivi” rivolti a dirigenti e funzionari dell’Enasarco (dicembre 1993)
  •  Coordinatore e docente dei corsi di formazione su “La misurazione del prodotto nella Pubblica Amministrazione” rivolti a dirigenti e funzionari dell’Enasarco (dicembre 1993)
  •  Coordinatore e Docente al corso di aggiornamento professionale per responsabili delle strutture periferiche dell’Enasarco sul tema “la direzione per obiettivi e la determinazione dei carichi di lavoro” (aprile 1994)
  •  Docente al “Corso di formazione professionale per rilevatori dei carichi di lavoro” rivolto a dipendenti dell’Enasarco (aprile 1994)
  •  Docente al “Corso di formazione per capi ufficio” sul tema “La gestione delle risorse umane e i sistemi premianti” (febbraio/marzo 1995)
  •  Docente di Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane per la IRECOOP del Veneto – 2003
  •  Docente di Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane per il Dipartimento della Lombardia del Ministero dell’Economia e delle Finanze – 2004
  •  Docente per l’INAIL ai percorsi formativi per Addetti dei servizi di prevenzione e protezione (Dlgs 195/03) – giugno 2006
  •  Docente al “Master in Sistemi Integrati di Gestione per la Qualità, Sicurezza e Ambiente – VI Edizione” su: “Progettazione dei Sistemi di Gestione della Sicurezza” – Istituto Romano per la Formazione Imprenditoriale (IRFI) – 2007
  •  Docente al Corso di Formazione per Responsabile del Servizio di Protezione e Prevenzione R.S.P.P. – modulo “C” presso c/o C.S.M.T. – Brescia 2008

PUBBLICAZIONI E RELAZIONI

  •  “E’ possibile “descolarizzare” la società?” – “Rivista di sociologia” n. 28, settembre-dicembre 1974
  •  “Da Burocrate a Manager” – Relazione introduttiva al Convegno “Da Burocrate a Manager” – CNEL, Sala della biblioteca – Roma giugno 1990
  •  “La introduzione della qualità nella pubblica amministrazione” – Atti del XXI Congresso Nazionale AICQ – Roma ottobre 2003
  •  “Introduzione della qualità nella pubblica amministrazione” –  Qualità on line, Notiziario dell’AICQ Associazione italiana cultura qualità, n. 1 agosto/settembre 2004
  •  “La dematerializzazione dei documenti nell’INAIL” – Relazione al Convegno “Misurare per cambiare” Villa MIani – Roma ottobre 2005 (diapositive su www.forumpa.it/convegni/).
  •  “La dematerializzazione dei documenti dell’INAIL” – La Rivista degli infortuni e delle malattie professionali – FASCICOLO 1 anno 2006
  •  “Il progetto eLearning in INAIL” – Rivista degli infortuni e delle malattie professionali – 03/2006
  •  “Il progetto eLearning in INAIL” – Rivista AIF – ottobre 2006
  • “Rapporto Aifos 2009 – La formazione della sicurezza sul lavoro” Edizioni Ipsoa – dicembre 2009

               Il presente Curriculum è aggiornato al gennaio 2010

Meritocrazia e sistemi di valutazione nella Pubblica Amministrazione

1.       PREMESSA

Ormai tutti in Italia si sentono di dover dire la loro sul tema della “meritocrazia” e di avere la ricetta in tasca.  Naturalmente è giusto se si parte dal presupposto che è vera democrazia avere la possibilità di discutere liberamente e, ove possibile, trovare soluzioni condivise ai problemi sul tappeto.

E’ altrettanto vero, tuttavia, che una discussione diventa produttiva e seria allorchè ognuno dei partecipanti parte da basi conoscitive comuni, affidabili e concrete e se il contesto di cui si parla è conosciuto.       Altra regola aurea da porre alla base di una discussione che voglia terminare con una efficace soluzione del problema è che si sviluppi senza remore e, cosa più importante, senza pregiudizi e/o posizioni precostituite.

Se queste sono le basi, assunte a regole della discussione, parlando di “meritocrazia” in Italia è necessario in premessa precisare da un lato il campo di gioco: settore privato o settore pubblico, o ambedue insieme, ambito regionale, nazionale o internazionale, etc.

La delimitazione del campo non è banale in quanto vigono regole diverse, contesti variegati, aspettative e finalità spesso divergenti.

Si parla di meritocrazia nelle istituzioni scolastiche, pubbliche e private, nella gestione delle organizzazioni, in politica, nell’informazione, nella sanità, nella ricerca: come non percepire le differenze sostanziali e le idee guida che devono condurre le analisi sulla meritocrazia in ognuno di questi contesti.

Evidentemente l’approccio dovrà essere differente se si parla di meritocrazia nella scuola, nella sanità, nel privato o nel pubblico impiego.               Come diversi dovranno essere i sistemi di selezione e valutazione idonei a permettere l’emergere dei talenti ed il rafforzamento delle eccellenze per ciascuno degli ambiti di discussione.

Le caratteristiche culturali, comportamentali e professionali di chi opera nelle istituzioni scolastiche o nel campo della ricerca oppure nel settore privato oppure nella pubblica amministrazione o nella sanità dovranno pur prsupporre delle diversità anche se fondate su una comune base cognitiva.

Dovendo operare in contesti così disuguali sarà naturale che vengano richieste competenze diverse che siano funzionali ai differenti ruoli da assumere. Da ciò scaturisce, naturalmente, che anche le metodologie e le idee guida alla base dei sistemi di selezione e valutazione dovranno essere diversi.

2.       LA PERVASIVITA’ DEL PROBLEMA

La necessità della soluzione di tale problema appare sempre più urgente considerando la eccezionale velocità del cambiamento che sta investendo il mondo e, oserei dire, travolgendo l’Italia.

In vista dell’arrivo, più volte annunciato, del “cambiamento” la maggior parte degli stati hanno consolidato le proprie difese quasi a doversi proteggere da una tempesta tropicale!

Hanno rafforzato gli ormeggi, innalzato barriere, fortificato le difese preparandosi all’impatto. Hanno incentivato la ricerca, il rafforzamento delle competenze, la diffusione dei network, lo sviluppo della creatività: tutto secondo un modello meritocratico.

L’Italia? Ne ha parlato, parlato, parlato ancora. Ma nulla ha fatto di concreto se non in poche realtà di nicchia che stanno mantenendo la competività nei confronti dei contesti esteri.

Queste considerazioni mi hanno portato ad approfondire il tema della assenza di meritocrazia in Italia per farmi una ragione di un comportamento talmente dissennato e autolesionista da parte di un popolo di così antiche ed illustre tradizioni.

In questa prima ricerca mi ha aiutato la lettura del libro di Roger Abravanel intitolato seccamente “Meritocrazia” e da cui ho ricavato diversi spunti di riflessione.

In particolare è degno di essere sottolineato un passaggio posto all’inizio del libro quando parla della “pervasività del mal di merito” e del suo effetto negativo sulla qualità della vita quotidiana degli italiani:

“ …ma il cuore del problema (e il principale motivo per cui è difficile venirne fuori) è proprio che l’assenza di meritocrazia è parte integrante del sistema di valori di tutta la società italiana (e proprio per questo è così pervasiva), per cui tutti la notano e ne denunciano l’assenza, ma lo fanno nei confronti dei comportamenti degli altri, non dei propri. Quando tocca a ciascuno di noi scegliere tra merito e fedeltà/relazione personale-famigliare, scegliamo troppo spesso la seconda, che è più facile, porta più favori/consenso/voti ed è l’unica scelta funzionale in una società basata sulla cooptazione anziché sul merito e sulla concorrenza.                La frase <…qui si va avanti solo per raccomandazioni e anche io, se non mi fossi cercato un aiuto dallo zio/onorevole/amico di famiglia, non ce l’avrei fatta…> è emblematica di questo modo di pensare.

La colpa è del “Sistema Italia”, e l’italiano singolo è sempre la vittima. Manca la fiducia nella possibilità che il sistema crei le condizioni per cui il merito obiettivo e misurabile sia utile a progredire….”

Sono 14 righe che condensano con una lucidità brutale il vissuto italiano degli ultimi decenni e che fotografano il perché, oggi, ci troviamo in questa situazione che Abravanel etichetta come il “circolo vizioso del demerito”.

3.       LA MERITOCRAZIA NEL SETTORE PUBBLICO

Come dargli torto, in particolare come può farlo uno come me che da 35 anni vive in una pubblica amministrazione che a tutti i livelli, ma in particolare per i vertici, ha fatto della assenza di meritocrazia un metodo sistematico di selezione e promozione sociale!

Con ciò non voglio sostenere che i vertici della pubblica amministrazione siano carenti di caratteristiche meritocratiche. Sostengo solo che i metodi per l’individuazione di coloro che vengono a ricoprire le cariche più alte dell’amministrazione pubblica sono completamente e drammaticamente avulse da qualsiasi logica di selezione e valutazione meritocratica degli aspiranti.

Ciò può essere accettato, anche se non auspicato, in aziende o strutture organizzative privatistiche dove esiste un “padrone” che nella scelta dei propri collaboratori rischia in proprio e il cui successo/insuccesso è determinato dal mercato.

Un simile comportamento è moralmente ed eticamente inaccettabile all’interno di una pubblica amministrazione ove il vero “padrone/investitore”, o “stakeholder come si usa denominare oggi, è il cittadino che, paradossalmente, paga sulla propria pelle le inefficienze e i costi di un apparato pubblico inadeguato.

La mancanza di caratteristiche meritocratiche nei vertici della pubblica amministrazione determina una serie di guasti, organizzativi, sociali, strutturali, la cui dimostrazione sta di fronte agli occhi di tutti quando ci si lamenta dell’inefficienza e inadeguatezza della pubblica amministrazione: non credo che esista qualcuno che veramente pensi che i mali della macchina statale siano determinati dal malato o dal fannullone di turno.

E’ evidente come le nomina ai massimi vertici delle amministrazioni pubbliche non può considerarsi un semplice fatto interno di avvicendamento di funzionari nell’ambito di una struttura organizzativa.      Da questi fatti dipende, spesso in modo drammatico ed invasivo, la qualità della vita di milioni di cittadini cosa questa che impone una scelta che scaturisca da una valutazione accurata, oggettiva e trasparente.

4.       PERCHE’ UN SISTEMA DI VALUTAZIONE OBIETTIVO E TRASPARENTE.

La mancanza di uno strumento di valutazione, che sia obiettivo e non manipolabile, determina in ognuno degli aspiranti ai posti di vertice una legittima aspettativa che crea un diffuso malessere psicologico tra i “contendenti” che, nella convinzione di ognuno di essere migliore di altri, genera situazioni di confittualità ed antagonismo dannosi per la compattezza del “gruppo” o della “squadra” con evidenti riflessi negativi per la funzionalità dell’azienda, dell’ente, dell’organizzazione in genere.

La mancanza di regole certe e condivise alla base della procedura per l’assegnazione degli incarichi, qualsiasi essi siano, determina tra i membri di qualsiasi organizzazione, ma in quelle pubbliche in particolare, difficoltà di relazioni e di collaborazione che generano situazioni di disfunzioni organizzative nell’ambito della “rete” interna della organizzazione stessa.

Tale situazione, incrinando i livelli di fiducia tra le risorse umane coinvolte e di trasparenza delle scelte, comporta il peggioramento delle performances e il propagarsi di atteggiamenti di scontro e di slealtà aziendale.

Un efficace ed obiettivo sistema di valutazione dei membri di una organizzazione comporta evidenti benefici in tema di clima aziendale.             Infatti, partendo da una condizione di parità tra coloro che dovranno essere sottoposti a valutazione, l’utilizzo dello strumento secondo canoni di obiettività e trasparenza permette di giungere ad una definizione dei punti di debolezza e di forza di ciascuno e l’instaurazione di un clima di sana e stimolante competizione in una ottica di accettazione delle “diversità”.

In ciascuno dei “competitors” si crea quindi la consapevolezza del proprio “status” che, scevro da illusorie aspettative, gli consente di migliorare i suoi punti di debolezza in vista di future valutazioni.

Il meccanismo descritto consente una gestione trasparente e condivisa delle diversità tale da non innescare conflittualità tra il personale coinvolto.

La mancanza di un efficiente sistema di valutazione, quale presupposto per la scelta di coloro che verranno chiamati a ricoprire incarichi di responsabilità all’interno di qualsiasi struttura organizzativa, determina paradossalmente il “governo dei peggiori” in quanto si viene a concretizzare un metodo di scelta per “cooptazione” o “affiliazione” in cui il cooptante si orienta a scegliere coloro che da un lato non siano in grado di “insidiargli” la posizione di potere (almeno nel breve periodo) e che si dimostrino ossequiosi nei suoi confronti (anche in questo caso è evidente lo scarso spessore di coloro che per natura ossequiano i potenti rimanendone succubi!).

Il metodo descritto, partendo solitamente da un iniziale “governo dei migliori o delle elite” originatosi nel più dei casi in periodi o fasi di grossa discontinuità (es. dopoguerra italiano), lentamente ma inesorabilmente è destinato a tramutarsi in un “governo dei peggiori” a causa delle influenze politiche e/o sociali che, entrando nella gestione, impongono sistemi cooptativi per insediare nei posti di comando e di potere personaggi fidelizzati, proni, non disposti a rischiare lo status acquisito per paura o per miope fedeltà al loro benefattore.

Tale meccanismo di perpetuazione del potere è evidente nei regimi totalitari, sia laici che religiosi, ove l’appartenenza partitica, settaria o religiosa è il prerequisito fondamentale per aspirare ad una promozione sociale e di carriera.

Mentre un sistema meritocratico per sua natura incentiva i contendenti a migliorarsi, sia professionalmente che moralmente, un sistema di cooptazione come quello appena descritto, oltre a far sorgere nelle persone un senso di sudditanza servile e di “attesa miracolistica” di futuri benefici, reprime nell’individuo la voglia di miglioramento,  l’attitudine e la familiarità al cambiamento mortificandone l’autostima e la propensione alla competizione.

Infatti uno degli aspetti più evidenti in sistemi organizzativi autoreferenziali, che utilizzano metodi si selezione cooptativa, è la pressoché nulla propensione al cambiamento che presuppone la presenza nei gruppi di comando di caratteristiche quali creatività, leadership e tendenza all’innovazione; caratteristiche presenti in larga parte in individui selezionati secondo parametri meritocratici che sono pronti ad accettare obiettivi sfidanti e competitivi.

Proprio questa mortificazione della propensione alla competizione è uno dei danni maggiori che creano i sistemi di cooptazione in quanto, come appena visto, i migliori vengono esclusi e limitati nello sviluppo delle loro potenzialità sia professionali che etiche.

Appare evidente come una struttura organizzativa che si caratterizzi per l’assenza di una competizione fondata sulla valutazione di professionalità, motivazione, comportamenti e leadership delle proprie risorse umane e che per contro valorizzi l’appartenenza, la fidelizzazione e l’ossequio relega ai confini del sistema burocratico e organizzativo i migliori che, solitamente, sono poco inclini, per etica, egocentrismo e determinazione ad essere manipolati.

5.       CONCLUSIONI

Un sistema di gestione che si avvalga di tali meccanismi di valutazione per l’individuazione e la gestione delle risorse da porre al vertice della struttura determinerebbe, nel settore privato, una rapida uscita dal mercato dell’azienda.

Nell’ambito del settore pubblico tale metodologia di conferimento di incarichi ha determinato e determina un progressivo deterioramento ed impoverimento culturale e professionale di buona parte dei vertici amministrativi e gestionali che sta determinando nelle strutture pubbliche una efficienza ed una qualità dei servizi sempre più insoddisfacente rispetto alle aspettative della utenza.

Tali considerazioni porterebbero ad auspicare che l’attuale processo “de-meritocratico”, che tanti dibattiti sta suscitando in Italia, possa subire una rapida accellerazione in modo da raggiungere quanto prima il punto di “implosione” del sistema e quindi avviare un processo di discontinuità che preluda ad un periodo “meritocratico”.

Senza arrivare a caldeggiare tale paradosso, inutile e dannoso per tutti, sarebbe certamente utile in questa fase di dibattito sulla riforma e miglioramento dell’economia italiana e dell’apparato pubblico in particolare abbandonare inutili pregiudizi e contrapposizioni, sia politici che culturali, per avviare un ciclo virtuoso che ponga i modelli meritocratici, come invocato da più parti, al centro dei sistemi di gestione delle aziende sia pubbliche che private.

Francesco Naviglio ©  – 2008