1. PREMESSA
Ormai tutti in Italia si sentono di dover dire la loro sul tema della “meritocrazia” e di avere la ricetta in tasca. Naturalmente è giusto se si parte dal presupposto che è vera democrazia avere la possibilità di discutere liberamente e, ove possibile, trovare soluzioni condivise ai problemi sul tappeto.
E’ altrettanto vero, tuttavia, che una discussione diventa produttiva e seria allorchè ognuno dei partecipanti parte da basi conoscitive comuni, affidabili e concrete e se il contesto di cui si parla è conosciuto. Altra regola aurea da porre alla base di una discussione che voglia terminare con una efficace soluzione del problema è che si sviluppi senza remore e, cosa più importante, senza pregiudizi e/o posizioni precostituite.
Se queste sono le basi, assunte a regole della discussione, parlando di “meritocrazia” in Italia è necessario in premessa precisare da un lato il campo di gioco: settore privato o settore pubblico, o ambedue insieme, ambito regionale, nazionale o internazionale, etc.
La delimitazione del campo non è banale in quanto vigono regole diverse, contesti variegati, aspettative e finalità spesso divergenti.
Si parla di meritocrazia nelle istituzioni scolastiche, pubbliche e private, nella gestione delle organizzazioni, in politica, nell’informazione, nella sanità, nella ricerca: come non percepire le differenze sostanziali e le idee guida che devono condurre le analisi sulla meritocrazia in ognuno di questi contesti.
Evidentemente l’approccio dovrà essere differente se si parla di meritocrazia nella scuola, nella sanità, nel privato o nel pubblico impiego. Come diversi dovranno essere i sistemi di selezione e valutazione idonei a permettere l’emergere dei talenti ed il rafforzamento delle eccellenze per ciascuno degli ambiti di discussione.
Le caratteristiche culturali, comportamentali e professionali di chi opera nelle istituzioni scolastiche o nel campo della ricerca oppure nel settore privato oppure nella pubblica amministrazione o nella sanità dovranno pur prsupporre delle diversità anche se fondate su una comune base cognitiva.
Dovendo operare in contesti così disuguali sarà naturale che vengano richieste competenze diverse che siano funzionali ai differenti ruoli da assumere. Da ciò scaturisce, naturalmente, che anche le metodologie e le idee guida alla base dei sistemi di selezione e valutazione dovranno essere diversi.
2. LA PERVASIVITA’ DEL PROBLEMA
La necessità della soluzione di tale problema appare sempre più urgente considerando la eccezionale velocità del cambiamento che sta investendo il mondo e, oserei dire, travolgendo l’Italia.
In vista dell’arrivo, più volte annunciato, del “cambiamento” la maggior parte degli stati hanno consolidato le proprie difese quasi a doversi proteggere da una tempesta tropicale!
Hanno rafforzato gli ormeggi, innalzato barriere, fortificato le difese preparandosi all’impatto. Hanno incentivato la ricerca, il rafforzamento delle competenze, la diffusione dei network, lo sviluppo della creatività: tutto secondo un modello meritocratico.
L’Italia? Ne ha parlato, parlato, parlato ancora. Ma nulla ha fatto di concreto se non in poche realtà di nicchia che stanno mantenendo la competività nei confronti dei contesti esteri.
Queste considerazioni mi hanno portato ad approfondire il tema della assenza di meritocrazia in Italia per farmi una ragione di un comportamento talmente dissennato e autolesionista da parte di un popolo di così antiche ed illustre tradizioni.
In questa prima ricerca mi ha aiutato la lettura del libro di Roger Abravanel intitolato seccamente “Meritocrazia” e da cui ho ricavato diversi spunti di riflessione.
In particolare è degno di essere sottolineato un passaggio posto all’inizio del libro quando parla della “pervasività del mal di merito” e del suo effetto negativo sulla qualità della vita quotidiana degli italiani:
“ …ma il cuore del problema (e il principale motivo per cui è difficile venirne fuori) è proprio che l’assenza di meritocrazia è parte integrante del sistema di valori di tutta la società italiana (e proprio per questo è così pervasiva), per cui tutti la notano e ne denunciano l’assenza, ma lo fanno nei confronti dei comportamenti degli altri, non dei propri. Quando tocca a ciascuno di noi scegliere tra merito e fedeltà/relazione personale-famigliare, scegliamo troppo spesso la seconda, che è più facile, porta più favori/consenso/voti ed è l’unica scelta funzionale in una società basata sulla cooptazione anziché sul merito e sulla concorrenza. La frase <…qui si va avanti solo per raccomandazioni e anche io, se non mi fossi cercato un aiuto dallo zio/onorevole/amico di famiglia, non ce l’avrei fatta…> è emblematica di questo modo di pensare.
La colpa è del “Sistema Italia”, e l’italiano singolo è sempre la vittima. Manca la fiducia nella possibilità che il sistema crei le condizioni per cui il merito obiettivo e misurabile sia utile a progredire….”
Sono 14 righe che condensano con una lucidità brutale il vissuto italiano degli ultimi decenni e che fotografano il perché, oggi, ci troviamo in questa situazione che Abravanel etichetta come il “circolo vizioso del demerito”.
3. LA MERITOCRAZIA NEL SETTORE PUBBLICO
Come dargli torto, in particolare come può farlo uno come me che da 35 anni vive in una pubblica amministrazione che a tutti i livelli, ma in particolare per i vertici, ha fatto della assenza di meritocrazia un metodo sistematico di selezione e promozione sociale!
Con ciò non voglio sostenere che i vertici della pubblica amministrazione siano carenti di caratteristiche meritocratiche. Sostengo solo che i metodi per l’individuazione di coloro che vengono a ricoprire le cariche più alte dell’amministrazione pubblica sono completamente e drammaticamente avulse da qualsiasi logica di selezione e valutazione meritocratica degli aspiranti.
Ciò può essere accettato, anche se non auspicato, in aziende o strutture organizzative privatistiche dove esiste un “padrone” che nella scelta dei propri collaboratori rischia in proprio e il cui successo/insuccesso è determinato dal mercato.
Un simile comportamento è moralmente ed eticamente inaccettabile all’interno di una pubblica amministrazione ove il vero “padrone/investitore”, o “stakeholder come si usa denominare oggi, è il cittadino che, paradossalmente, paga sulla propria pelle le inefficienze e i costi di un apparato pubblico inadeguato.
La mancanza di caratteristiche meritocratiche nei vertici della pubblica amministrazione determina una serie di guasti, organizzativi, sociali, strutturali, la cui dimostrazione sta di fronte agli occhi di tutti quando ci si lamenta dell’inefficienza e inadeguatezza della pubblica amministrazione: non credo che esista qualcuno che veramente pensi che i mali della macchina statale siano determinati dal malato o dal fannullone di turno.
E’ evidente come le nomina ai massimi vertici delle amministrazioni pubbliche non può considerarsi un semplice fatto interno di avvicendamento di funzionari nell’ambito di una struttura organizzativa. Da questi fatti dipende, spesso in modo drammatico ed invasivo, la qualità della vita di milioni di cittadini cosa questa che impone una scelta che scaturisca da una valutazione accurata, oggettiva e trasparente.
4. PERCHE’ UN SISTEMA DI VALUTAZIONE OBIETTIVO E TRASPARENTE.
La mancanza di uno strumento di valutazione, che sia obiettivo e non manipolabile, determina in ognuno degli aspiranti ai posti di vertice una legittima aspettativa che crea un diffuso malessere psicologico tra i “contendenti” che, nella convinzione di ognuno di essere migliore di altri, genera situazioni di confittualità ed antagonismo dannosi per la compattezza del “gruppo” o della “squadra” con evidenti riflessi negativi per la funzionalità dell’azienda, dell’ente, dell’organizzazione in genere.
La mancanza di regole certe e condivise alla base della procedura per l’assegnazione degli incarichi, qualsiasi essi siano, determina tra i membri di qualsiasi organizzazione, ma in quelle pubbliche in particolare, difficoltà di relazioni e di collaborazione che generano situazioni di disfunzioni organizzative nell’ambito della “rete” interna della organizzazione stessa.
Tale situazione, incrinando i livelli di fiducia tra le risorse umane coinvolte e di trasparenza delle scelte, comporta il peggioramento delle performances e il propagarsi di atteggiamenti di scontro e di slealtà aziendale.
Un efficace ed obiettivo sistema di valutazione dei membri di una organizzazione comporta evidenti benefici in tema di clima aziendale. Infatti, partendo da una condizione di parità tra coloro che dovranno essere sottoposti a valutazione, l’utilizzo dello strumento secondo canoni di obiettività e trasparenza permette di giungere ad una definizione dei punti di debolezza e di forza di ciascuno e l’instaurazione di un clima di sana e stimolante competizione in una ottica di accettazione delle “diversità”.
In ciascuno dei “competitors” si crea quindi la consapevolezza del proprio “status” che, scevro da illusorie aspettative, gli consente di migliorare i suoi punti di debolezza in vista di future valutazioni.
Il meccanismo descritto consente una gestione trasparente e condivisa delle diversità tale da non innescare conflittualità tra il personale coinvolto.
La mancanza di un efficiente sistema di valutazione, quale presupposto per la scelta di coloro che verranno chiamati a ricoprire incarichi di responsabilità all’interno di qualsiasi struttura organizzativa, determina paradossalmente il “governo dei peggiori” in quanto si viene a concretizzare un metodo di scelta per “cooptazione” o “affiliazione” in cui il cooptante si orienta a scegliere coloro che da un lato non siano in grado di “insidiargli” la posizione di potere (almeno nel breve periodo) e che si dimostrino ossequiosi nei suoi confronti (anche in questo caso è evidente lo scarso spessore di coloro che per natura ossequiano i potenti rimanendone succubi!).
Il metodo descritto, partendo solitamente da un iniziale “governo dei migliori o delle elite” originatosi nel più dei casi in periodi o fasi di grossa discontinuità (es. dopoguerra italiano), lentamente ma inesorabilmente è destinato a tramutarsi in un “governo dei peggiori” a causa delle influenze politiche e/o sociali che, entrando nella gestione, impongono sistemi cooptativi per insediare nei posti di comando e di potere personaggi fidelizzati, proni, non disposti a rischiare lo status acquisito per paura o per miope fedeltà al loro benefattore.
Tale meccanismo di perpetuazione del potere è evidente nei regimi totalitari, sia laici che religiosi, ove l’appartenenza partitica, settaria o religiosa è il prerequisito fondamentale per aspirare ad una promozione sociale e di carriera.
Mentre un sistema meritocratico per sua natura incentiva i contendenti a migliorarsi, sia professionalmente che moralmente, un sistema di cooptazione come quello appena descritto, oltre a far sorgere nelle persone un senso di sudditanza servile e di “attesa miracolistica” di futuri benefici, reprime nell’individuo la voglia di miglioramento, l’attitudine e la familiarità al cambiamento mortificandone l’autostima e la propensione alla competizione.
Infatti uno degli aspetti più evidenti in sistemi organizzativi autoreferenziali, che utilizzano metodi si selezione cooptativa, è la pressoché nulla propensione al cambiamento che presuppone la presenza nei gruppi di comando di caratteristiche quali creatività, leadership e tendenza all’innovazione; caratteristiche presenti in larga parte in individui selezionati secondo parametri meritocratici che sono pronti ad accettare obiettivi sfidanti e competitivi.
Proprio questa mortificazione della propensione alla competizione è uno dei danni maggiori che creano i sistemi di cooptazione in quanto, come appena visto, i migliori vengono esclusi e limitati nello sviluppo delle loro potenzialità sia professionali che etiche.
Appare evidente come una struttura organizzativa che si caratterizzi per l’assenza di una competizione fondata sulla valutazione di professionalità, motivazione, comportamenti e leadership delle proprie risorse umane e che per contro valorizzi l’appartenenza, la fidelizzazione e l’ossequio relega ai confini del sistema burocratico e organizzativo i migliori che, solitamente, sono poco inclini, per etica, egocentrismo e determinazione ad essere manipolati.
5. CONCLUSIONI
Un sistema di gestione che si avvalga di tali meccanismi di valutazione per l’individuazione e la gestione delle risorse da porre al vertice della struttura determinerebbe, nel settore privato, una rapida uscita dal mercato dell’azienda.
Nell’ambito del settore pubblico tale metodologia di conferimento di incarichi ha determinato e determina un progressivo deterioramento ed impoverimento culturale e professionale di buona parte dei vertici amministrativi e gestionali che sta determinando nelle strutture pubbliche una efficienza ed una qualità dei servizi sempre più insoddisfacente rispetto alle aspettative della utenza.
Tali considerazioni porterebbero ad auspicare che l’attuale processo “de-meritocratico”, che tanti dibattiti sta suscitando in Italia, possa subire una rapida accellerazione in modo da raggiungere quanto prima il punto di “implosione” del sistema e quindi avviare un processo di discontinuità che preluda ad un periodo “meritocratico”.
Senza arrivare a caldeggiare tale paradosso, inutile e dannoso per tutti, sarebbe certamente utile in questa fase di dibattito sulla riforma e miglioramento dell’economia italiana e dell’apparato pubblico in particolare abbandonare inutili pregiudizi e contrapposizioni, sia politici che culturali, per avviare un ciclo virtuoso che ponga i modelli meritocratici, come invocato da più parti, al centro dei sistemi di gestione delle aziende sia pubbliche che private.
Francesco Naviglio © – 2008