Descolarizzare la società

di Francesco Naviglio

Pubblicato sul n. 28 della Rivista di Sociologia – 1974

Hartmut von Hentig, scrivendo la prefazione del libro di Ivan Illich, Descolarizzare la società, dice testualmente:

“Nel movimento per la riforma dell’istruzione, che ha finito col trascinare anche i vecchi oppositori, questo libro avrà l’effetto di una bomba. Esso stabilirà tra conservatori e riformatori un’alleanza che né gli uni né gli altri si sarebbero mai sognata. Vi scopriranno gli obiettivi che entrambi intendono raggiungere, sia pure usando mezzi diversi: la scuola come autogoverno della società sotto il pubblico controllo. Infatti, è la scuola che garantisce la continuità delle istituzioni, degli ordinamenti e delle idee di cui tutti noi viviamo. Essa rende la vita prevedibile almeno in parte, libera gli individui da un peso che da un pezzo non intendono più portare: la responsabilità di ciò che sono”.

Per i conservatori come per i riformatori, questo libro potrebbe servire per mostrare dove si andrà a finire se non “si salva adesso” la scuola, se non “si prenderà sul serio la sua funzione”, se essa non verrà “opportunamente ristrutturata” e inserita in un “sistema globale”, ove occorra “non lo sia”.

In base alle parole di Von Hentig la prima domanda che ci si pone è cosa prospetta Illich di talmente rivoluzionario da rendere possibile l’alleanza, contro di lui, di conservatori e riformisti? La risposta a questo quesito è ad un tempo semplice e complicata, per tutto quello che c’è dietro la tesi di Illich: egli propone unicamente l’abolizione totale della scuola come istituzione!

Come si può notare, a ragione Hartmut von Hentig prevede che le tesi di Illich siano destinate ad incontrare una forte opposizione in tutti coloro che si occupano dei problemi della scuola. Fino ad oggi la discussione sui problemi della scuola ha sempre cercato di avanzare delle proposte di riforma della stessa per adeguarla ai bisogni della società, ma non ha mai prospettato la possibilità di una sua totale abolizione.

Dai vari studiosi sono venute innumerevoli proposte di riforma che a seconda del paese di provenienza si chiamavano classi polivalenti, non graded schools, scuole senza muri, streamed classes, shrameck vidjiapeeth, herambes schools, community colleges, universidad libre a distancia, universités invisible, esenanza en equipo, radnicki univerzitete, open schools, modula scheduling, ecc.

Illich, invece, sostiene che l’unico modo valido per attuare una vera riforma della scuola è di abolirla completamente.

A prima vista ciò che sostiene Illich può sembrare paradossale oltre che di stampo prettamente rivoluzionario, tuttavia se si esaminano attentamente le argomentazioni che egli porta a sostegno della sua tesi si giunge a pensare che la sua analisi è in gran parte esatta.

In primo luogo Illich sostiene che un motivo basilare per giustificare la necessità dell’abolizione della scuola è l’eccessivo costo che essa richiede per attuare i suoi programmi.

Secondo la sua analisi, negli Stati Uniti sarebbe necessaria una spesa di ottanta miliardi di dollari l’anno per assicurare a tutti i ragazzi in età scolare il diritto allo studio, ossia più del doppio dell’attuale spesa scolastica del governo federale. Ciò dimostra come gli Stati Uniti, che nel 1969 hanno speso ottanta miliardi di dollari per le spese militari, siano troppo poveri per attuare un’adeguata riforma dell’istruzione.

Appunto in base a tali considerazioni, illich sostiene che, evidentemente, è un’utopia parlare di una scuola dell’obbligo uguale per tutti, almeno dal punto di vista economico.

Anche il “Rapporto Faure”, commissionato dall’UNESCO, ha messo in luce queste difficoltà di carattere economico in cui la scuola si dibatte; secondo gli esperti che hanno collaborato alla sua stesura, la crisi della scuola è anche, e forse soprattutto, una crisi di risorse:

“uno sforzo immenso è stato fatto dopo la fine della guerra per estendere la frequenza scolastica dei ragazzi e degli adolescenti e per combattere l’analfabetismo degli adulti. Questo sforzo ha prodotto grandi risultati. Ma diviene ogni giorno più evidente che, per questa via e con i mezzi finora impegnati, non si può rispondere alle prevedibili necessità”.

I dati attuali dicono che la popolazione scolastica ha avuto uno sviluppo notevolissimo negli ultimi anni: tra il 1960 e il 1968 si è passati da 325 a 460 milioni di studenti che rappresenta un incremento del 40% delle frequenze scolastiche, con una media annua del 4,5%. Per quanto concerne le spese scolastiche, le statistiche dell’UNESCO dicono che tra il 1960 ed il 1969 si è passati da 54,4 miliardi di dollari a 132 miliardi, con un incremento del 150% in soli otto anni, e queste cifre includono le spese della Cina, della Corea del Nord e del Vietnam del Nord, oltre a non tenere conto dei numerosi crediti che gli stati concedono alle scuole private e le spese per l’educazione fatte dai ministeri del Lavoro, dell’Agricoltura, della Difesa o da organismi come la radio e la televisione che diffondono programmi educativi.

La quota di bilancio che gli Stati destinano all’insegnamento tende sempre più a salire, nel 1967 diciotto Stati hanno stanziato per l’educazione il 20% del loro bilancio, mentre nel 1960, a superare tale livello erano soltanto sei Stati, inoltre, in base ai dati del “Rapporto Faure” si nota che le spese scolastiche tendono ad aumentare più rapidamente del prodotto nazionale.

Tuttavia, nonostante questo costante aumento delle spese, che gli Stati devono sostenere per l’istruzione, si nota che in tutte le nazioni il sistema tradizionale di insegnamento palesa gravi sintomi di inefficienza. Il più grave di questi sintomi è la rilevanza che via via è andato assumendo il fenomeno della “mortalità scolastica”, per rinuncia o per ripetenza: secondo le statistiche dell’Unesco, in metà degli Stati del mondo, la metà degli studenti non porta a termine il ciclo di studi primario.

La critica di Illich non si riduce esclusivamente agli aspetti economici: l’abolizione della scuola come istituzione è auspicabile anche per motivi di “giustizia sociale”. La prima cosa che nota Illich è che la scuola costituisce una forma di tassazione regressiva, in quanto viene pagata dal povero in favore del ricco. La scuola, infatti, viene sovvenzionata con i fondi che lo Stato ricava dalle tasse: ora queste tasse, normalmente, non sono proporzionali ai redditi reali, e ciò in conseguenza di molteplici motivi che sarebbero troppo lungo analizzare in questa sede.

In base a questa anomalia del sistema tributario in vigore nella maggior parte dei Paesi del mondo, si viene a creare una strana situazione: da una parte si nota che le tasse gravano, percentualmente, per la maggior parte sui ceti più bassi, dall’altra è provato che i figli delle classi più alte sono quelli che maggiormente sfruttano fino in fondo i benefici dell’istruzione.

Oltre a ciò si nota che una vera “Eguaglianza” delle opportunità educative, all’interno della scuola, è irrealizzabile nell’attuale società, infatti, anche se i governi attuassero un vasto programma di riforma della scuola, che rendesse operante la frequenza obbligatoria degli allievi, con ciò non sarebbe stata eliminata la differenza sociale esistente nella società.

“Dovrebbe essere ovvio – sostiene Illich – che, anche quando abbia a disposizione scuole di eguale livello, il bambino povero ha raramente la possibilità di tenere dietro al ricco. Possono frequentare le scuole di pari qualità e cominciare alla stessa età, ma ai bambini poveri mancano in gran parte le occasioni didattiche che sono normalmente a disposizione del bambino della media borghesia. Questi vantaggi vanno dalle conversazioni e dai libri che ci sono in casa, ai viaggi durante le vacanze e a una diversa coscienza di se stessi, e per un bambino che ne gode valgono sia nella scuola sia fuori”

Quindi in base alla critica di Illich, i programmi di istruzione che i vari Stati cercano di attuare per dare a tutta la popolazione una base culturale comune, sono destinati a fallire per ragioni di carattere economico e sociale.

Tuttavia, l’accusa maggiore che Illich rivolge all’istruzione scolastica, e indirettamente a tutta la società, è che la scuola monopolizza l’esercizio del sapere e inculca negli uomini la convinzione che per entrare in possesso della cultura è necessario consumare il prodotto della scuola.

Ciò, secondo Illich, è un mezzo per tenere a freno la società da parte delle elites dominanti che in tale modo riescono a controllare meglio il potere di cui sono detentrici. Praticamente la critica di Illich alla scuola ricalca il pensiero di Althusser che considera la scuola come “apparato ideologico di Stato”, un apparato, cioè, che le classi dominanti usano per consolidare il loro potere, sugli altri strati sociali senza che questi ultimi se ne accorgano.

Sia Illich che Althuser sono d’accordo nel considerare la scuola il sistema di controllo sociale che ha sostituito la Chiesa da quando questa ha perso la sua influenza all’interno della società e con questa gran parte del proprio potere. Infatti, secondo Illich, la scuola si comporta come la Chiesa del tempo della riforma, quando prometteva il paradiso solo a quelle persone che andavano costantemente in chiesa, allo stesso modo la scuola moderna promette la cultura unicamente a chi frequenta i corsi graduati.

Per Illich, inoltre, la scuola è uno strumento utilissimo nelle mani delle classi dominanti per far assumere, alle persone che partecipano al rito della scuola, dei modelli di comportamento che portano ad un nuovo tipo di alienazione.

Questo nuovo tipo di alienazione consiste nell’identificare il bisogno con il servizio nella concezione comune che la scuola forma nelle sue aule: è presente il convincimento che la cultura è un bene che si acquista unicamente frequentando un corso programmato da altri, che l’unico mezzo per curarsi è di affidarsi alle cure mediche istituzionalizzate, si identifica la sicurezza della comunità e quella personale con la polizia e la forza delle nazioni con la potenza delle strutture militari.

Tutti questi modi di considerare la realtà sono, per Illich, il frutto della “scolarizzazione” che abitua l’uomo ad accettare il servizio al posto del valore.

Come si vede la critica che Illich rivolge alla scuola è radicale, tuttavia la polemica che Illich instaura con la scuola non è unicamente distruttiva: egli propone, infatti, delle alternative concrete alla scuola.

Ma è proprio nel proporre queste alternative che Illich cade nell’utopico; la sua tesi, infatti, presuppone una tale maturità sia degli uomini che delle istituzioni sociali e politiche, che non trova riscontro nel mondo d’oggi.

“Un buon sistema scolastico – scrive Illich – dovrebbe porsi tre obiettivi: assicurare, a tutti quelli che hanno voglia di imparare, la possibilità di accedere alle risorse disponibili, in qualsiasi momento della propria vita, permettere, a tutti quelli che vogliono comunicare ad altri le proprie conoscenze, di incontrare chi ha voglia di imparare da loro, offrire infine a tutti quelli che vogliono sottoporre a pubblica discussione un determinato problema, la possibilità di rendere noto il proprio proposito.”

In particolare Illich propone che l’accesso alla cultura sia assicurato mediante “trame di apprendimento” che mettano in condizione chiunque di venire in possesso delle conoscenze che desidera e che diano la possibilità a chiunque di far partecipi gli altri delle proprie capacità.

Illich elenca quattro trame che egli chiama:

  • Servizi per la consultazione di oggetti didattici;
  • Centrali delle capacità;
  • Assortimento degli eguali;
  • Servizi per la consultazione di educatori in genere.

Queste trame, secondo Illich, dovrebbero fornire a chiunque voglia apprendere delle capacità il mezzo per fare ciò senza la mediazione di istituzioni formali, direttamente dall’esperienza reale.

In pratica, Illich propone una comunità educante, in cui l’istruzione si attua per mezzo di osmosi con la società. Ciò che Illich auspica è un ritorno ai metodi di insegnamento che erano in vigore nelle comunità tribali, in cui i giovani apprendevano stando in continuo contatto con coloro che possedevano le “capacità”.

Infatti, si dovrebbero formare delle “Centrali delle capacità” il cui centro organizzativo dovrebbe essere una specie di schedario in cui vi si possono trovare nomi ed indirizzi di ingegneri, filosofi, storici, operai specializzati, artisti ecc. e cui possa accedere chiunque sia interessato ad apprendere una particolare capacità.

Oltre a ciò Illich prospetta la possibilità di poter venire in contatto liberamente con cose e oggetti che abbiano un valore didattico.

A questo scopo dovrebbe essere approntata una rete di biblioteche, musei, pinacoteche, laboratori ecc. in cui tutti coloro che sono interessati ad un particolare oggetto od opera d’arte possano visionarla e maneggiarla.

Ma la cosa più importante, secondo Illich, è che vengano messi a disposizione di chiunque tutti quegli oggetti e quegli impianti fissi, come laboratori, fabbriche, officine, installazioni militari, aeroporti ecc. che solitamente rimangono fuori dalle conoscenze di gran parte dell’umanità.

Ciò renderebbe possibile, per gran parte delle persone, la conoscenza dei vari processi produttivi che di solito sono di dominio di “pochi addetti ai lavori” e farebbe scomparire quella tendenza alla monopolizzazione delle conoscenze che è tipico della società industriale.

In base al programma di Illich ognuno dovrebbe essere, in pratica, “l’artefice del proprio destino” nel senso che a chiunque dovrebbe essere data la possibilità di apprendere ciò che vuole nel modo a lui più congeniale. Il metodo per vagliare le attitudini di una persona non dovrebbe più essere l’esposizione di titoli, elargiti da istituzioni formali, bensì la dimostrazione pratica delle proprie capacità.

Non si può certo negare che il progetto di “descolarizzazione” di Illich emani un notevole fascino, ma nel giudicarlo si deve aver presente la realtà sociale, economica e soprattutto politica del mondo di oggi, ed in base a tali parametri considerare tali proposte.

Per porre in atto ciò che Illich sostiene si dovrebbe prima di tutto attuare una “rivoluzione copernicana” all’interno dei rapporti intersoggettivi, per quanto concerne le persone e all’interno dei rapporti internazionali per quanto attiene gli stati, che dovrebbero portare ad una società strutturata unicamente in senso orizzontale, senza centri di potere economici, politici e culturali.

Prima di tutto dovrebbero essere rimessi in discussione i rapporti di potere esistenti all’interno di una società e dovrebbero essere eliminati quelli che Althusser chiama gli “Apparati Ideologici di Stato”, tra i quali la scuola occupa un posto di primo piano.

La tesi di Althusser appare complementare al progetto di Illich, per ambedue riformare la scuola significa intraprendere una lotta contro i gruppi di potere economici e politici che guidano uno stato e significa sottrarre loro il monopolio delle istituzioni scolastiche.

La crisi della scuola riveste essenzialmente un carattere politico, la cui soluzione presuppone una più vasta riforma sociale, che necessariamente deve rimettere in discussione la distribuzione del potere all’interno della società.

Sotto questa angolazione, l’opera di Illich assume una rilevanza eccezionale, non per le soluzioni che egli propone, bensì per l’analisi che egli conduce circa i motivi della crisi della scuola, per questo la problematica posta da Illich non è un punto di arrivo, bensì un’ipotesi di lavoro.

Non serve a nulla cambiare le strutture fisiche della scuola, è un fatto secondario introdurre sussidi audiovisivi nel processo di apprendimento, non è importante fare scuola all’interno di aule scolastiche o in un prato, se tutto ciò non è visto in una prospettiva di libertà. Una riforma che intendesse veramente risolvere, o almeno cercare di risolvere, i problemi dell’istituzione scolastica si dovrebbe prima di tutto occupare delle interrelazioni che legano la scuola al resto della società ed in special modo ai centri di potere in essa operanti.